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sabato 11 novembre 2017

Archeologia. Bronzetti nuragici, pregiate sculture in bronzo che il mondo ci invidia. Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Archeologia. Bronzetti nuragici, pregiate sculture in bronzo che il mondo ci invidia.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Fra i personaggi sacri del mondo nuragico, spicca per bellezza e importanza “l’acquaiolo”, un bronzetto sardo (n° 60 del libro di Lilliu “Sculture della Sardegna Nuragica”) che saluta con la mano destra, e nella sinistra impugna una fune da cui pende un vaso del tipo di quello in terracotta inciso trovato a Sant’Anastasia di Sardara. Anch’esso proviene da Serri ed è conservato al Museo di Cagliari. Il legame con la religiosità è testimoniato dai tre elementi che sono sempre presenti nella sfera sacra: eleganza, relazione con l’acqua e dono votivo. Il recipiente ha il corpo ovale col fondo stretto e piano. Il colletto è alto e rovescio ed è diviso dal corpo con una profonda gola. Sul ventre presenta un colatoio per versare il liquido. La tunica, con l’orlo inferiore prolungato a coda, è priva di maniche. Il pugnale a elsa gammata, sospeso nella fascia a tracolla, costituisce l’arma, simbolo di prestigio e potere, del personaggio. Un cordone con nodo sul davanti chiude il vestito all’altezza della vita. Occhi a
mandorla, sopracciglia e naso con schema a T e bocca carnosa completano la rappresentazione. Nessuna tristezza traspare dal personaggio, al contrario si notano fierezza e nobiltà di rango.
Passiamo a un’altra categoria di bronzetti: le Dee Madri sedute in trono. Il bronzetto denominato dall’archeologo Giovanni Lilliu “Madre con bimbo in grembo”, misura 12 cm, ed è conservato al museo di Cagliari. Proviene da Santa Vittoria di Serri, ritrovato nei pressi del Pozzo sacro. La madre è seduta su uno sgabello/trono, simile a quello in pietra trovato nell’edificio di Palmavera denominato “Capanna delle riunioni”, e tiene un fanciullo in braccio. Il mio pensiero è profondamente differente dall’interpretazione di Lilliu che vede un bimbo debole e malato abbandonato fra le braccia della madre. Vedrei, piuttosto, un figlio che, addormentato sul grembo materno, è inconsapevolmente presente a un rito nel quale è coinvolto, e la madre, invece, partecipa attivamente suscitando l’ammirazione e la devozione dei presenti. Altre tre sculture bronzee simili sono conosciute nel mondo artistico nuragico, e anche negli altri casi, le ipotesi di Lilliu che spaziano dalla tristezza alla morte del bimbo, non mi trovano d’accordo. Vedo, invece, legami con i rituali di iniziazione e con una figura materna che, seduta in trono, è simbolo della massima divinità sarda fin dalla notte dei tempi: La Dea Madre. I bambini accoccolati sul grembo sono simboli di vita, protetti dalla loro madre come la comunità è protetta dalla Dea Madre. Se l’idea di Lilliu di rappresentare la debolezza dell’uomo al cospetto delle divinità fosse corretta, perché i bronzetti mostrano, invece, un atteggiamento di superiorità e distacco dal presente? I bronzetti nuragici sono sempre fieri, plastiche rappresentazioni di un mondo vivo, florido, combattivo e religioso. Stride un’ipotesi mesta, e pur riconoscendo a Lilliu il merito di aver descritto mirabilmente altri bronzetti, nelle sue interpretazioni in alcuni ha infuso di troppa umiltà i soggetti. Inoltre, l’atteggiamento pare quello di una madre che accompagna un fanciullo e lo protegge durante il rito di iniziazione che si svolgeva per introdurre i giovani, forse aristocratici, nel mondo degli adulti, come dimostra il pugnaletto a elsa gammata che porta al petto.
Per completare il discorso sulle “Madri”, puntiamo i fari su altre due. La prima è la n° 68 della classificazione di Lilliu, alta 10 cm e proveniente da Sa Domu e S’Orcu di Urzulei, conservata al Museo di Cagliari. Su uno sgabello/trono simile a quello precedente, ancora immerso nel piombo del supporto, è rappresentata con il figlio in braccio e denominata “Madre dell’Ucciso”. Secondo Lilliu si tratterebbe non di un bambino ma di un adulto deceduto. Non condivido questa proposta per vari motivi, soprattutto perché il bambino mostra una posizione non accasciata, quale sarebbe quella di un defunto. Inoltre, le dimensioni della donna sono decisamente più grandi di quelle del bambino, e ciò è in forte contrasto con le capacità interpretative e realizzative dei maestri artigiani sardi dell’epoca. Anche in questo caso vedo una Dea Madre che introduce il futuro leader della comunità nel gruppo dei capi tribù, un principe/fanciullo pronto all’inserimento nella società dopo un adeguato rito di iniziazione. Infatti, il nobile figlio mostra ben visibile il pugnaletto sul petto, elemento che denota in rango elevato nella tribù di appartenenza. La madre ha il capo scoperto e indossa una tunica cadente con tre balze lisce, ed è rivestita da una corta mantellina. C’è da aggiungere che la figurina viene da una caverna sacra e, nella commovente ipotesi del Taramelli, suggerisce un rito di devozione con la madre che offre il figlio avvolto in un sudario.
La terza rappresentazione di Dea Madre con fanciullo è la n° 123 di Lilliu, denominata “La Grazia”. Misura 10 cm, ed è stata ritrovata in una massa di ceneri e carboni presso la torre a feritoie a Santa Vittoria di Serri. Anche in questo caso la mia ipotesi contrasta con quella di Lilliu, che vede non una madre che istruisce con dolcezza il figlio, ma una donna che implora la grazia per il proprio figlio ammalato. Stessa tunica, stesso atteggiamento e stessa mantellina della madre n° 68, ma la pettinatura è messa in rilievo. Il figlio è privo del pugnale ma mostra ben visibile l’attributo maschile, elemento che non denota certo un momento di sofferenza o di morte apparente. Si tratta, a mio parere, del rito iniziatico che precede l’ingresso del fanciullo nel mondo degli adulti.
Le statuine sono sempre fiere rappresentanti di un mondo dinamico, legato alla religiosità e perfettamente organizzato nei vari aspetti sociali e politici, consapevole di un ruolo elitario nel mondo dell’epoca. La mia interpretazione che stride non poco con l’ipotesi mesta, dolente e afflitta che Lilliu attribuiva alle preziose sculture, e pur riconoscendogli il merito di aver descritto mirabilmente tanti bronzetti, in altri ha probabilmente infuso di troppa umiltà i soggetti.


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