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martedì 20 giugno 2017

Archeologia della Sardegna. Religiosità e architetture sacre della Civiltà Nuragica, un misterioso mondo legato alla natura e alla fertilità. Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Archeologia della Sardegna. Religiosità e architetture sacre della Civiltà Nuragica, un misterioso mondo legato alla natura e alla fertilità.
Riflessioni di Pierluigi Montalbano

L’arte preistorica della Sardegna, oltre ai menhir e alle incantevoli statuette della dea madre, è caratterizzata dalla rappresentazione di simboli che evocano divinità legate al culto dei defunti. Le domus de janas, realizzate nel Neolitico Finale, dal 3500 a.C. circa, presentano figure che vanno dalle spirali ai cerchi concentrici per giungere a teste di toro e altre d’incerta interpretazione. La lunga fase che precede la Civiltà Nuragica vede, dunque, un mondo religioso legato alla natura e alla fertilità. L’assenza di rappresentazioni simboliche che distingue l’inizio della Civiltà Nuragica pone quesiti di difficile soluzione su chi fossero gli dei sardi dell’età del Bronzo, ma seguendo una continuità con le precedenti culture, e con le successive rappresentazioni legate alla bronzistica dell’età del Ferro, possiamo ipotizzare che anche nella bella età dei nuraghi e delle contemporanee tombe di giganti, gli animali con le corna avessero valenza sacra. Riprodotti nelle navicelle e indossati come elmi dei bronzetti guerrieri, hanno lasciato un’impronta indelebile in
tutto il territorio isolano. Altro animale sacro raffigurato ossessivamente nelle piccole sculture in bronzo è la colomba, animale sacro a Venere, la protettrice dei marinai. I nuragici praticavano, dunque, culti legati al ciclo delle stagioni e della vita, alla fertilità dei campi e della donna, ai defunti. Certamente il sole e la luna, come in tutte le società a base agricola, erano tenuti in gran conto, e verosimilmente i riti dove l’acqua e il fuoco comparivano da protagonisti rivestivano un’ideologia dove l’unione degli opposti era alla base della spiritualità nuragica. Pur non essendo dimostrabile, il legame maschio-toro-sole-fuoco e quello donna-colomba-luna-acqua incarnavano l’ideologia religiosa degli antichi sardi. Dagli scavi si evince che in determinate ricorrenze annuali i nuragici si radunavano in luoghi comuni di culto, con alloggi e strutture di tipo aggregativo, a volte gradonate, in cui è sempre presente l’elemento acqua, con pozzi sacri o edifici che contengono una vasca e opere idrauliche complesse. In questi luoghi è forte la presenza di offerte votive, di bronzetti, di navicelle e di armi donate alle divinità. Secondo gli studiosi, un tetto a cuspide con doppio spiovente copriva questi templi.
Altri templi interessanti sono quelli rettangolari a megaron, dotati di uno spazio interno probabilmente destinato a un fuoco sacro. La loro appartenenza alla religiosità è avvalorata dalla presenza del temenos, il recinto sacro che circonda l’edificio il cui accesso era riservato alla classe sacerdotale. Alcuni, come quello di Malchittu ad Arzachena, hanno l’abside, mentre altri, come quello di Villagrande Strisaili, presentano un vano circolare. Nelle loro planimetrie spesso i muri portanti perimetrali si protraggono all'esterno sia verso la fronte dell'edificio, sia nella sua parte retrostante, e in questo caso sono definiti in antis.
Alle divinità era affidato il compito di guidare le scelte delle comunità, e i sacrifici animali che accompagnavano i rituali sono testimoniati da ritrovamenti archeologici di focolari contenenti resti ossei e ceramiche. Musica, danze ed esibizioni di lotta caratterizzavano le feste e le celebrazioni religiose collettive, occasioni dove saldare alleanze familiari e stringere rapporti commerciali.  Questi luoghi comunitari sacri erano organizzati in modo da far convivere la festa religiosa e quella civile, il mercato con l'assemblea politica. Era presente il tempio a pozzo o la sorgente sacra, fornita di tutto il necessario per la celebrazione dei riti. A volte si intercettava la risorsa idrica a monte e, attraverso canalizzazioni, si portava l’acqua all’interno di capanne speciali dotate di banconi per sedersi e grande vasca centrale, ad esempio quella di Sa Sedda ‘e Sos Carros in territorio di Oliena. Non mancavano le protomi taurine sul prospetto e, intorno, bétili e cippi.

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