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lunedì 27 marzo 2017

Archeologia della Sardegna. Preistoria: La metallurgia antica. Estrazione, fusione e leghe. Riflessioni di Pierluigi Montalbano

Archeologia della Sardegna. Preistoria: La metallurgia antica. Estrazione, fusione e leghe
Riflessioni di Pierluigi Montalbano




















La scoperta dei metodi per l'estrazione dei metalli portò gradualmente alla fine della cultura neolitica. Per molti secoli, mentre utilizzavano la pietra, l'osso e il legno come materiali da utensili, gli uomini fecero uso di qualche metallo allo stato nativo (oro, argento, rame e ferro meteorico) per scopi decorativi e per la fabbricazione di piccoli oggetti quali spilli e ami da pesca.
Le ampie possibilità offerte dalla lavorazione dei metalli non erano ancora note. La metallurgia vera e propria iniziò solo quando si comprese che, con la fusione, il riscaldamento e la colata, si poteva impartire al metallo una forma nuova e controllata, al di là dello scopo delle vecchie tecniche di scheggiamento, spaccatura, taglio. Ciò avvenne verso la fine del IV millennio a.C.
Nel giro di un migliaio di anni dalla scoperta dei processi di estrazione, l'uomo era riuscito a padroneggiare la metallurgia e la tecnica della fusione. È probabile che in un primo tempo il
metallo puro e la lega fossero usati indiscriminatamente e senza una chiara distinzione.
I primi costruttori di un oggetto metallico di una certa consistenza fecero una delle più importanti osservazioni della metallurgia: una massa di metallo, man mano che veniva lavorata per foggiarla nella forma desiderata, si induriva sotto l'azione del martellamento, ma poteva riprendere la condizione originale dopo un nuovo riscaldamento. Questo processo, chiamato ricottura, doveva essere ripetuto a frequenti intervalli se la lavorazione durava a lungo. Quando si usarono le forme per fondere degli arnesi con finitura grossolana si eliminò la necessità di una lunga fucinatura, con la conseguenza che potevano essere fabbricati con minore spesa e maggiore rapidità.























L'archeologia e la tradizione classica convergono nell'indicare la Persia nord-orientale come la terra d'origine della più antica metallurgia, dalla quale si sarebbe diffusa nel Vicino Oriente fin da tempi remotissimi. La capacità di lavorare i metalli si diffuse da quelle zone evolvendosi: i ricercatori di metalli preziosi, i fabbri girovaghi e i commercianti devono aver avuto ciascuno la propria parte. La posizione geografica dei centri metallurgici era determinata da due fattori: la disponibilità del minerale e quella del combustibile. La scarsità del combustibile ostacolò lo sviluppo della lavorazione dei metalli in alcune parti del mondo antico. Gli unici combustibili utilizzati nella metallurgia erano il legno e il carbone di legna, ma nessuno degli antichi imperi era ricco di legname, così questi ultimi cominciarono ben presto a concentrarsi sull'importazione dei metalli grezzi dai distanti centri di produzione del metallo. I regnanti delle città-stato affidarono quindi il materiale grezzo importato ai propri specialisti perché ne facessero prodotti finiti.
Per l'efficace estrazione dei metalli dal minerale occorre una fornace entro cui bisogna alimentare il fuoco mediante tiraggio. Nelle operazioni più semplici di riduzione i pezzi di minerale sono mescolati a strati insieme col combustibile, e il metallo viene raccolto in un lingotto dal focolare. Un'antica forma di fornace, ancora usata dai popoli primitivi, era costituita da una cavità praticata nel terreno e rivestita di argilla e di pietre. Più tardi questa fornace a coppa fu usata principalmente per il primo arrostimento, mentre la riduzione avveniva in una struttura più elaborata. Per conservare il calore, il bordo superiore della coppa era concavo verso l'interno, mentre alla base si praticavano dei fori per spillare il metallo e ottenere il tiraggio. Questo forno a crogiuolo era ancora completamente interrato. Con l'erezione di muri di pietra convergenti a camino intorno alla coppa si ebbe un più perfezionato forno a tino in cui la coppa fungeva da focolare. L'arte di costruire i forni a tino, in pietra rivestita di argilla refrattaria, pervenne in Europa dal Mediterraneo orientale verso la metà dell’età del Bronzo. Altri tipi di forno erano stati a lungo usati nel Vicino Oriente per la cottura e la smaltatura del vasellame, per la cottura del pane e per la fabbricazione del vetro. Il forno per metalli fu l'ultimo a giungere.


















Il minerale di rame può essere fuso a circa 800°, mentre il metallo puro può essere fuso a 1083°, temperature che erano certamente raggiungibili nelle antiche fornaci per vasellame. Nei forni più grandi, specialmente a tiraggio forzato, i metalli ferrosi potevano essere non solo ridotti dai loro minerali, ma anche fusi per la colata in getti. Il metallo era fuso in un crogiolo di argilla refrattaria o di argilla e sabbia. La fase successiva è stata quella di costruire il crogiolo nella stessa struttura del forno, ma i forni costruiti in modo che il metallo fuso fosse completamente protetto dall'azione del combustibile e dei prodotti della combustione, sembra fossero sconosciuti nell'antichità. La storia del tiraggio forzato non è chiara, ma senza di esso non si sarebbe potuto fondere metalli.
Per lavorare su piccole quantità di materiali, s’iniziò a soffiare con una canna cava. I soffiatoi a canna compaiono in Egitto, come risulta dai dipinti, fin dal 2500 a.C. Gli egiziani usavano tubi di metallo con punte di argilla, o tuyeres, per introdurre l'aria nel forno, ma anche le canne come i Sumeri e i Babilonesi. Per avere un volume d'aria sufficiente per una fornace di maggiore capacità occorre una specie di pompa: il tipo più antico è costituito da una pelle di animale, con un tubo fissato a una delle zampe della pelle stessa. Questi mantici erano usati in serie. Negli antichissimi forni dei Sumeri e degli Assiri sono stati trovati dei resti di tuyeres.















Per la manipolazione dei metalli caldi, i lavoratori adoperano dapprima tenaglie formate da un pezzo di metallo flessibile ripiegato. In un secondo tempo il flessibile è sostituito da molle incernierate. I lavoratori di metalli furono tra i primi specialisti del lavoro artigiano e alcuni di essi si avventurarono in territori sconosciuti in cerca di minerali, diffondendo la conoscenza della lavorazione di queste pietre colorate.
Argento e piombo compaiono per la prima volta contemporaneamente negli scavi. Erano strettamente collegati perché si ricavano dallo stesso minerale: la galena, un solfuro di piombo che contiene una piccola percentuale di argento. La sua lucentezza metallica potrebbe aver attratto l'attenzione dei primi fonditori di rame. La “terra dei Calibei”, antico centro della metallurgia, era il distretto minerario degli Ittiti, la cui capitale prende nome dall’ideogramma usato per indicare l'argento. Le città Sumeriche e Assire inviavano i loro mercanti presso gli Ittiti per acquistare l'argento e il piombo prodotti in quella regione. La produzione si diffuse gradualmente a occidente dell'Egeo e a oriente, dove furono sfruttate le miniere che si trovavano a nord della Mesopotamia.
L'antico metallurgista non aveva ancora la conoscenza adatta per controllare le varie fasi della fusione e il risultato era inevitabilmente una bassa resa. Pesi, anelli e barre di rame e piombo furono le prime monete dell'antico Vicino Oriente; furono ben presto rimpiazzati dall'argento e dall’oro, che però servivano soprattutto come campioni di confronto, dato che i pagamenti veri e propri erano fatti in rame e piombo.
















Il rame allo stato nativo si trova in moltissimi luoghi in forma di particelle, raramente in granuli. Nell'alveo di torrenti montani, dove spesso c'è l’oro, si trovano talvolta i noduli di colore verde-porpora e nero-verdastro che, se vengono raschiati, mostrano un nucleo di rame allo stato nativo.
Prima i forni erano piuttosto piccoli, appena sufficienti a fornire un'adeguata quantità di metallo per fare dei piccoli arnesi, come le punte di freccia. Solo gradualmente si riuscì a costruire forni, dove si accatastavano strati alterni di carbone e di minerale. Dalla grandezza dei lingotti preistorici (20-25 cm di diametro e 4 cm di spessore) si può dedurre che i primi forni metallurgici avessero un diametro di circa 30 cm. I primi lingotti di rame che circolarono nel Mediterraneo orientale erano sagomati a forma di pelle di bue e pesavano circa uno o due talenti, cioè 35 o 70 kg. Servivano probabilmente come moneta al posto delle vere pelli di bue usate in precedenza. Il rame e le sue leghe possono essere induriti soltanto mediante martellatura a freddo lungo i bordi di taglio. Gli utensili logori e rotti erano adoperati come rottami di seconda fusione. La colata era prima fatta in forme aperte in cui si potevano rapidamente produrre piccoli oggetti piatti. La fusione in tondo fu agevolata facendo la forma in due o più parti.
Le leghe contengono stagno ma anche piombo, antimonio, arsenico e zinco. In genere prevaleva il bronzo di stagno perché con la sua maggiore resistenza meccanica, la sua più elevata durezza e le sue migliori proprietà di colabilità, era assai più utile del rame non legato. L'unico importante minerale di stagno è la cassiterite, che si trova sia allo stato alluvionale sia come minerale di filone. Man mano che i giacimenti di stagno del Vicino Oriente si esaurivano, occorreva fare delle importazioni da regioni più lontane, come la Spagna, l'Europa centrale e la Cornovaglia.














L'estrazione dello stagno dalla cassiterite era abbastanza semplice: era sufficiente eseguire un lavaggio, ridurre in polvere il minerale e caricarlo nel forno, a strati alterni con carbone di legna. Si riuscì a ottenere un metallo di purezza elevata, ma a costo di rilevanti perdite sotto forma di scorie, e a causa della volatilizzazione. Si è spesso formulata l'ipotesi che la fusione accidentale di minerali misti di rame e stagno abbia condotto alla scoperta del bronzo.
Gradualmente i giacimenti alluvionali di stagno del Vicino Oriente cominciarono a esaurirsi e ricercatori e commercianti incominciarono a tentare le vie dell'Occidente nella speranza di trovare nuove fonti di stagno. Questo lavoro di pionieri spiega la graduale introduzione della varietà di metalli nelle regioni del Danubio e nell'Europa centrale, mentre il commercio marittimo portò lo stagno spagnolo nel Mediterraneo orientale. Queste varie importazioni compensarono la scarsità del materiale.
Verso il 1500 a.C., cominciò la produzione di leghe a differente tenore di stagno, adatte in maniera specifica alla fabbricazione di armi.
L'introduzione dei metalli per gli utensili delle armi ha segnato l'alba di una nuova era, non tanto per dare un taglio affilato, poiché la selce può essere utilizzata in maniera analoga, ma per la durata e per la varietà della forma ottenibile. Inoltre un utensile di metallo, anche dopo rotto, poteva essere sagomato.






















Il rame puro non è facilmente fusibile in una forma chiusa, data la sua tendenza ad assorbire i gas con conseguenti soffiature che generano dei difetti nei getti di fusione. Tenendo conto delle difficoltà della tecnica, non sorprende che i getti di fusione preistorici di forma complessa, fatti con rame non in lega, siano assai rari. Salvo per i piccoli oggetti primitivi quali lesine e spilli, i primi utensili che richiesero un volume considerevole di rame non in lega furono le asce. Le prime daghe di metallo sono piatte e triangolari, in seguito ci fu l'introduzione di una nervatura centrale per aumentare la rigidità laterale e ottenere una lama più sottile. La punta di freccia fu anche riprodotta in metallo, ma gli esemplari sono rari poiché era prezioso per oggetti che sovente andavano perduti.



















La scoperta della lavorazione del bronzo-stagno è seconda per importanza solo a quella della fusione del rame. Quando la metallurgia del bronzo si fu ben consolidata, e il fonditore riuscì a controllare le sue miscele, si mirò a una lega con il 10% di stagno per ottenere i migliori risultati complessivi. Tale lega può essere incrudita, mediante lavorazione, analogamente al rame, ma a parità di condizioni è più dura di quest'ultimo, avendo una resistenza alla rottura quasi doppia del rame. Un altro elemento assai importante di superiorità è dato dalla sua spiccata capacità di fusione: senza il bronzo, la complessa fusione in forme chiuse non sarebbe diventata un'industria importante. Esistevano tre metodi di fusione: a forma aperta, a forma chiusa e a cera persa.
Un ulteriore perfezionamento per oggetti di fusione muniti di attacchi fu l’uso di un'anima. Questa era di solito costituita da argilla cotta ed era sistemata entro la forma in modo da rappresentare l'attacco cavo. I crogioli erano necessari per fondere il bronzo destinato alla colata dei getti. I primi crogioli erano dei piccoli piatti poco profondi di terraglia rozza. Successivamente la grandezza aumentò e fece la sua prima comparsa la forma cilindrica profonda, che espone meno metallo alla influenza dell’atmosfera.
Le forme di molti dei nostri attuali utensili artigiani possono risalire all’età del Bronzo. Il martello è il più antico degli utensili. L'incudine è necessaria in ogni fucina. La facilità con cui il bronzo può essere fuso permise una vasta gamma nella forma di scuri.























La spada fu derivata dalla daga all'inizio dell’età del Bronzo. La forma più frequente è quella triangolare, con l’elsa fissata mediante chiodi ribattuti. Con l'avvento del bronzo la lama diventò più lunga e l’elsa più stretta.
Le punta di lancia nella loro prima forma di rame avevano un collo, ma con l'avvento del bronzo e la scoperta della fusione con anime si arrivò al tipo con attacco a manicotto: si faceva passare un chiodo ribattuto attraverso il codolo e l'asta, per evitare che la punta si sfilasse. Le punte di freccia per tutta l’età del Bronzo erano generalmente di selce o di osso.
L'artigiano dell’età Neolitica, che conduceva vita sedentaria, aveva avuto tempo e modo di scoprire che quella sostanza luccicante e gialla, l’oro, che si trovava nel letto di alcuni fiumi, poteva essere battuta e trasformata in spille, ganci o lamine sottili. Come ho già detto, l'artigiano aveva anche scoperto che con la martellatura poteva rendere più rigida e dura quella pietra simile all'oro, ossia il rame. Se cercava di modellare una coppa da una piastra già parecchio battuta, si accorgeva che era diventata troppo dura per poter essere lavorata ulteriormente. Forse ripiegò un poco i bordi per ricavare un recipiente, entro cui far bollire l'acqua, e questo recipiente si dimostrò particolarmente utile poiché non si rompeva come i vasi di argilla. Verosimilmente una volta lasciò il recipiente sul fuoco finché si asciugò e divenne rovente; allora lo rigirò con i bastoncini prensili e si accorse stupito che era molle e duttile: alla coppa si poteva imprimere un'altra forma. Ma se il metallo era nuovamente battuto ridiventava duro, così l'artigiano capì che per continuare a lavorarlo doveva ammorbidirlo sul fuoco. In questo modo fu scoperta la ricottura.
Il rame e altri metalli, induriti e deformati in conseguenza della battitura o della forgiatura, possono essere resi duttili con l'azione del calore. Un'altra fase fu raggiunta quando un artigiano, avendo posto un pezzo di oro sul fuoco per ricuocerlo, lo vide fondere improvvisamente e colare giù tra le ceneri. I pezzi preziosi furono recuperati, ma l’artigiano decise di ovviare a un simile inconveniente mettendo la pepita in lavorazione dentro una pentola. Questa volta, avendo alzato il fuoco, si stupì nel trovare la lamina che fondeva in una nocella di oro liquido. Aveva fuso l’oro anziché ricuocerlo. Cominciando a forgiare di nuovo la sua lamina, fece attenzione a non surriscaldarla quando diveniva troppo dura. Familiarizzatosi con il metallo fuso, riuscì a costruire gli stampi in cui il metallo poteva venire formato nel modo più idoneo.
La fusione comporta la colata del metallo liquido in una forma, dove si raffredda e solidifica. In molte parti del mondo antico le prime scuri e altri oggetti di metallo furono fusi in forme aperte di pietra o di argilla cotta. Più tardi entrarono in uso delle forme in due parti: in pietra, terracotta e bronzo. I fonditori erano maestri dell'arte e sapevano disegnare ed eseguire lavori che non avrebbero sfigurato al cospetto di qualsiasi altra opera artistica.
L'artigiano antico riscontrò che la fusione della figura di un Dio o di una punta di lancia comportava il consumo di molto metallo prezioso, ed era ovvio che si potesse ottenere un'economia facendo i pezzi cavi. Per questo si doveva trovare il mezzo per fissare una massa di materiale compatta all'interno della forma, così da occupare tutto lo spazio salvo il vuoto destinato a essere riempito con il metallo. La costruzione di quest'anima presentava delle difficoltà: doveva essere tenuta ferma, perché se avesse toccato la superficie interna della forma, la fusione avrebbe presentato un foro non desiderato. Talvolta era facile tenere l'anima a posto: era sufficiente piantare dei chiodi di bronzo nella superficie dell'anima. A poco a poco i fonditori acquistarono l'abilità di fare le anime in maniera così precisa che lo spazio lasciato per il metallo era di spessore uniforme.













Un'altra difficoltà per il fonditore era costituita dal calore del metallo fuso quando era colato nella forma: faceva dilatare i gas in essa contenuti, quindi per consentirne lo sfogo occorreva costruire la forma con materiale poroso.
La formatura in argilla costituì il procedimento più comune per la fusione nell'antichità. Il procedimento della cera persa era un metodo per fondere il metallo mediante una forma esterna in un pezzo solo, da cui la cera del modello può essere rimossa soltanto con la fusione: se la forma è apribile per la rimozione della cera, non è considerata a cera persa. Un oggetto di piccole dimensioni può essere pieno, ma per una fusione cava occorre un'anima o uno stampo per la superficie interna del metallo. Si può costruire in cera su un'anima già preparata. In mancanza di questo si prepara una forma a pezzi completa, di gesso o di qualche altro materiale duttile come la gelatina, in cui si spalma o si versa uno strato di cera dello spessore di cui si vuole il metallo. Dentro lo strato di cera si forma un'anima di argilla e polvere di mattoni e si fornisce di sfiatatoi. Si rimuove la forma provvisoria e quindi, con bastoncini di cera, si costruisce una serie di colatoi, per il flusso del metallo, e di sfiatatoi, per lo sfogo dell'aria. Devono essere tutti inclinati dalla stessa parte, per consentire alla cera di colare fuori dalla forma al momento della fusione. Una volta completata la sistemazione della cera vi si spalma sopra un sottile strato di argilla fine; quindi si aggiungono ulteriori strati, frammisti a polvere di mattone, finché la forma abbia raggiunto uno spessore sufficiente. Così tutta la forma esterna viene costruita in un pezzo solo e collocata nel forno in posizione tale che tutta la cera possa uscirne quando viene riscaldata. La forma viene quindi cotta ed è pronta per la colata del metallo. Terminata la fusione, si rompe la forma, si asportano i colatoi e i montanti di sfiato e si levigano le superfici ruvide.

Le immagini sono del Museo Archeologico di Cagliari.

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