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martedì 5 aprile 2016

Archeologia, storia e geografia di Bosa, l'unica città sarda con un fiume navigabile: il Temo.

Archeologia, storia e geografia di Bosa, l'unica città sarda con un fiume navigabile: il Temo.
di Pierluigi Montalbano



Bosa ha 8000 abitanti. Fa parte dell'Unione di Comuni della Planargia e del Montiferru Occidentale. Si inserisce nel territorio del Logudoro, condividendo l'utilizzo del sardo logudorese. Durante il dominio aragonese, ottenne il rango di città regia del quale attualmente permane, con l'abolizione dei privilegi feudali, il titolo onorifico di città. Insieme ad Alghero è sede vescovile della diocesi di Alghero-Bosa. È attraversata dal corso del Temo, l'unico fiume navigabile della Sardegna (per circa 6 km), nella cui piana alluvionale si trova il centro abitato che da un nucleo medievale posizionato sulle pendici del colle di Serravalle si è esteso dall'Ottocento verso valle e, dal Novecento, sino alla foce e in direzione della costa, dove si è sviluppata una stazione balneare, Bosa Marina. Sulla costa, frastagliata e lunga 33 km, si distinguono i tufi trachitici a sud del promontorio di punta Argentina dalle più antiche andesiti inferiori di capo Marrargiu, dove si aprono grotte naturali e miniere sfruttate fino ai primi del Novecento. Nella costa fra Bosa e Alghero, è presente l'unica colonia sarda di grifoni, specie protetta perché a rischio di estinzione. Nel 2015 si contavano, nel territorio, trentacinque coppie riproduttive. Bosa fu abitata già in epoca preistorica come dimostrano le 36 domus de janas con dromos che testimoniano una frequentazione dall’età del rame. Di rilievo la Tomba I di Pontes con pareti interne levigate e dipinte di rosso, simbolo del sangue e della rigenerazione, sulle quali era incisa una raffigurazione di doppie corna, a testimonianza del culto legato al Dio Toro. Si sono rinvenuti, inoltre, i resti di focolari rituali e coppelle a destinazione sacra scavate nel pavimento di alcuni ipogei, mentre in altre tombe si sono riscontrate delle nicchie per le offerte funerarie.
Ci sono anche due nuraghi complessi siti nelle località di Monte Furru e di S'Abba Druche e i resti di una tomba dei giganti. I Fenici usarono per approdo la foce del fiume Temo, riparata dalle mareggiate dall'Isola Rossa, e dal maestrale dal colle di Sa Sea. Nella vallata di Messerchimbe, sulla sponda destra del fiume, svilupparono un centro abitato mentre sull'altra sponda si sarebbero concentrate l'area sacra e la necropoli. In età bizantina, si formò un nuovo agglomerato intorno alla cattedrale, sul sito della vecchia necropoli. Attraversata dalla strada costiera occidentale, che superava il Temo a Pont'Ezzu, Bosa era collegata direttamente a sud con Cornus (presso il comune di Cuglieri) e a nord con Alghero. Del porto di Terridi restano ancora tracce di bitte per l'attracco delle barche. In età romana la città, che inizialmente aveva l'ordinamento punico, con la magistratura dei suffeti, divenne, un municipio. L'introduzione del culto imperiale è documentato da un'epigrafe in marmo che ricorda la dedica, fra il 138 e il 141, da parte di Quintus Rutilius, un magistrato, di quattro statuette in argento, raffiguranti Antonino Pio, Faustina, Marco Aurelio e Lucio Vero. All'età degli Antonini risale anche la promozione di un bosano al massimo sacerdozio provinciale della Sardegna. La città subì per tutto il Medioevo le scorrerie degli Arabi, ma non perse la sua importanza: fu capoluogo della Curatoria di Planargia, nel Giudicato di Logudoro e sede vescovile. In un periodo compreso tra il sesto decennio dell'XI secolo e il 1073 si costruì la cattedrale dedicata a San Pietro. Il complesso delle vecchie concerie fu eretto tra il Seicento e il Settecento lungo la riva sinistra del Temo, in prossimità del Ponte Vecchio, e raggiunse la sua massima operatività nel XIX secolo diventando il maggior centro conciario della Sardegna con ventotto strutture in attività. Completamente dismesse nel 1962, le vecchie concerie sono state classificate come monumento nazionale e sottoposte a misure di tutela che ne hanno consentito il recupero e la valorizzazione dopo il degrado seguito al loro abbandono. Si tratta di un insieme di stabilimenti conciari che occupano una superficie coperta di 4 000 m². All'interno delle singole strutture, l'area era divisa in un piano terra con vasca in muratura, ove avveniva la lavorazione delle pelli, e in un piano superiore, nel quale si procedeva alla rifinitura. Il Ponte Nazionale, meglio conosciuto come Ponte Vecchio (Pont'ezzu in sardo) venne edificato, in trachite rossa e a tre arcate, su disegno dell'ingegnere del genio civile Carlo Pizzagalli, nel 1871. Ha sostituito quello precedente – in legno e a sette archi – crollato all'inizio del XIX secolo.



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