Diretto da Pierluigi Montalbano

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Associazione Culturale Honebu

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lunedì 30 novembre 2015

Honebu, presentazione libro "Sa Levadora" e conferenza di Carlo Tronchetti sui "Giganti di Monte Prama".

Honebu, il salotto della cultura di Cagliari



Lo staff dell'Associazione Culturale Honebu ha preparato un ricco programma per il mese di Dicembre.

Si inizia domani, martedì 1 Dicembre con la presentazione del libro "Sa Levadora", la maestra di parto sarda. Scritto da Carmen Salis e Ivan Murgana, edito da Amico Libro, sarà presentato alle 19 nella sala conferenze Honebu, in Via Fratelli Bandiera 100 Cagliari/Pirri.



Gli autori, Ivan Murgana e Carmen Salis, in questo libro raccontano la storia (reale) di Pietrina, sa levadora. Nella prefazione si legge: “Per conoscere meglio se stessi bisogna scavare nel proprio passato. Lo sa bene Peppino che torna in Marmilla per scoprire chi era Pietrina Murtas, la levatrice che aiutò sua madre a farlo venire al mondo. Scoprirà la storia di una donna fuori dal comune che con forza d'animo combatterà contro un destino avverso e contro i pregiudizi e le maldicenze della gente. I racconti davanti a un camino apriranno lo scrigno dei ricordi di una Sardegna che non c'è più, la storia di una levatrice sarda attraverso la quale vivremo emozioni e momenti di un tempo lontano, quasi dimenticato. 

Sempre questa settimana, Venerdì 4 Dicembre, alle 19, ospiteremo l'archeologo Carlo Tronchetti che presenterà gli scavi di Monte Prama. Imperdibile appuntamento con il nostro argomento preferito: la storia della Sardegna Nuragica. Lo studioso, noto al grande pubblico per gli scavi della metà degli anni '70 che portarono alla luce le grandi statue a tutto tondo realizzate 2800 anni fa dai nuragici, illustrerà la storia degli scavi e le ultime scoperte.

Venerdì 11 Dicembre, sempre alle 19, sarà la volta della Civiltà Nuragica. Parleremo dello straordinario periodo in cui in Sardegna si costruivano gli edifici più maestosi del pianeta dopo le piramidi. 

Venerdì 18 Dicembre parleremo delle Chiese Romaniche in Sardegna. Relatore sarà l'ing. Edoardo di Siena, responsabile del gruppo facebook:
nel quale è possibile iscriversi per approfondire queste importanti architetture religiose.
Ingresso libero a tutti gli eventi.
L'ultimo scorcio di Dicembre 2015 sarà dedicato alle feste Honebu, riservate ai soci, nelle quali tra assaggi e degustazione di vini, sarà programmata l'attività per il 2016.

Questa l'attività Honebu svolta nel 2015:


10 Aprile Inaugurazione
17 Aprile  Carlo Tronchetti - Sardegna Punica e mondo Greco
24 Aprile  Nicola Dessì - I culti femminili nell’antichità
08 Maggio  Giovanni Ugas - L’origine de Su Ballu Tundu
12 Maggio  Maria Rosaria Randaccio - Zona Franca
15 Maggio  Alfonso Stiglitz - Egitto e Sardegna, Shardana e dintorni
19 Maggio  Bepi Vigna e Gianni Mascia - Fill’e Preri, lo slang cagliaritano
22 Maggio  Salvatore Dedola - La Stele di Nora
26 Maggio  Giorgio Saba - Il giardino delle Esperidi in Sardegna?
29 Maggio  Marco Piga - La monetazione punica in Sardegna
05 Giugno  Carlo Tronchetti - Letteratura greca e latina sul sesso nell’antichità
09 Giugno  Pier Giovanni Moro - Gli UFO, questi sconosciuti
12 Giugno  Giovanni Ugas - Sardi, Shardana e Popoli del Mare
16 Giugno  Mauro Peppino Zedda - Orientamento dei monumenti nuragici
19 Giugno  Alfonso Stiglitz - L’invenzione del sardo pellita
23 Giugno  Nando Cuccu e Ambra Falconi - Presentazione libro: “Nell’animo dettati di parole”
26 Giugno  Salvatore Dedola - Etimologia dei monumenti archeologici
29 Giugno  Arnold Lebeuf - Il pozzo di Santa Cristina
30 Giugno  Stefano Salvatici - La potenza dell’emozione creativa
03 Luglio  Andrea Deplano - Etimologia del canto a tenore
08 Luglio  Visita guidata al museo archeologico di Cagliari
09 Luglio  Festa sociale di chiusura della stagione Primavera/Estate Honebu
11 Settembre  Riccardo Cicilloni - Cagliari nella preistoria
15 Settembre  Stefano Salvatici - Sogno o son desto? Il mistero della vita onirica
18 Settembre  Carlo Tronchetti - Cagliari in età fenicia
25 Settembre  Alfonso Stiglitz - Cagliari in età punica
02 Ottobre  Ruben Fais - Stefano Cardu, storia della musealizzazione di una collezione orientale
09 Ottobre  Salvatore Dedola - Costellazioni sarde e babilonesi
16 Ottobre  Giampaolo Marchi - La Sardegna spagnola nel 1574
20 Ottobre  Salvatore Dedola e Antonio Vernier: “Un giorno sull’altopiano etiopico”
23 Ottobre  Giulio Angioni - presenta il libro: “Sulla faccia della terra”
25 Ottobre  Escursione a Oschiri all'altare di Santo Stefano
30 Ottobre Ruben Fais: "La collezione Cardu, un museo di arte orientale a Cagliari".
31 Ottobre  Seui Su Prugadoriu Fusione di bronzetti - Archeologia sperimentale sotto le stelle
06 Novembre  Massimo Rassu: “Le torri della difesa costiera in Sardegna”
13 Novembre Ruben Fais: "Buddah e Cristo a confronto, iconografie e parallelilsmi".
20 Novembre  Massimo Rassu: “La protezione antiaerea a Cagliari nella II guerra mondiale”
27 Novembre Ruben Fais: "La Via della Seta, le carovaniere dell'Asia Centrale".
28 Novembre Teti: Fusione di bronzetti in piazza, con Andrea Loddo. (Autunno in Barbagia).

domenica 29 novembre 2015

Archeologia. Bronzetti nuragici, pregiate sculture in bronzo che il mondo ci invidia.

Archeologia. Bronzetti nuragici, pregiate sculture in bronzo che il mondo ci invidia.
di Pierluigi Montalbano


























Con l’acquaiolo iniziamo l’analisi di  alcuni bronzetti sardi classificati da Lilliu nel 1966. Si tratta di un personaggio (n° 60 del libro di Lilliu) che saluta con la mano destra, e nella sinistra impugna una fune da cui pende un vaso del tipo di quello in terracotta inciso trovato a Sant'Anastasia di Sardara. È alto 13.3 cm, proviene dal pozzo sacro di santa Vittoria di Serri ed è conservato al museo di Cagliari. Il recipiente ha il corpo ovale col fondo stretto e piano. Il colletto è alto e rovescio ed è diviso dal corpo con una profonda gola. Sul ventre presenta un colatoio per versare il liquido. La tunica, con l’orlo inferiore prolungato a coda, è priva di maniche. Un pugnale ad elsa gammata, sospeso nella solita fascia a tracolla, costituisce l’unica arma del personaggio. Un cordone con nodo sul davanti chiude il vestito all’altezza della vita. Occhi a mandorla, sopracciglia e naso con

sabato 28 novembre 2015

Ancore di pietra fra archeologia ed etnografia, di Mario Galasso

Ancore di pietra fra archeologia ed etnografia


   Fra le varie tipologie di materiali che il mare di continuo restituisce ad archeologi e no una in particolare ha sempre affascinato per la vetustà e per quanto di intrinseco racchiude in sé: l’ancora di pietra. Le tipologie della stessa sono ormai ben documentate dai noti lavori di Papò, della Frost, di Kapitän e di altri, fra i quali Edoardo Riccardi che ne fa oggetto di un interessante riepilogo  e da ultima Donatella Salvi in un recentissimo lavoro. Un po’ dappertutto si trovano citati rinvenimenti di attrezzi riconosciuti come ancore litiche, raggruppabili per lo più in tre grandi tipologie:
- pietre piatte con uno o più fori, nei quali si suppone siano stati infilati spezzoni lignei e siano state fissate le corde di tenuta (calumi);
- pietre più o meno informi, ma in genere oblunghe, al centro delle quali si nota in genere un incavo toroidale per fissarvi la fune, utilizzate tout-court come corpi morti (mazzere);
- pietre a sezione rettangolare e di notevole lunghezza, spesso a forma di mezzaluna allungata, con base piatta ed incavo al centro, non propriamente ancore ma parti di esse, e cioè marre fissate al fuso in legno per appesantirlo ed appoggiarlo orizzontalmente al fondo.
   Tra il primo ed il secondo gruppo si colloca un sottogruppo di incerta valutazione, costituito da

venerdì 27 novembre 2015

Archeologia. Una missione spagnola scopre a Luxor la tomba di un sacerdote della XXII dinastia

Archeologia. Una missione spagnola scopre a Luxor la tomba di un sacerdote della XXII dinastia



Il ministro delle Antichità egiziane Mamdouh el Damati ha annunciato la scoperta di un sarcofago di un sacerdote del dio egizio Amon Ra della XXIIesima dinastia nella tomba del vizir Amenhotep-Huy nella riva ovest di Luxor. Il ministro ha aggiunto che il sarcofago - scoperto da una missione spagnola - è in buono stato ed è stato trovato in una buca tra le rocce, nascosto da pietre. Secondo il direttore del dipartimento delle Antichità dell'Alto Egitto Soldan Eid, il sarcofago è fabbricato in legno stuccato e dipinto e mostra un uomo con una tipica parrucca tripartita ed una corona di fiori, nastri colorati e una barba posticcia, mentre il petto è decorato con una collana. Inoltre le due mani incrociate tengono probabilmente due steli di papiri. Sul sarcofago sono presenti geroglifici e scene che mostrano il defunto che porta offerte agli dei Anubi e Hathor. 

Fonte: www.ansa.it

Storia e archeologia. La "Via della Seta" da Honebu, con Ruben Fais. Questa sera, alle 19, in Via Fratelli Bandiera 100, a Cagliari/Pirri

Storia e archeologia. La "Via della Seta" da Honebu, con Ruben Fais. Questa sera, alle 19, in Via Fratelli Bandiera 100, a Cagliari/Pirri


Buongiorno,
Honebu, il salotto della cultura, vi invita a partecipare alla serata dedicata alla "Via della Seta", la storia delle carovaniere che attraversavano l'Asia per giungere nei ricchi mercati d'occidente. 
Appuntamento alle ore 19, nela sala conferenze Honebu di Via Fratelli Bandiera 100, a Pirri.
Relatore dell'evento sarà Ruben Fais, già curatore emerito del Museo Cardu di Cagliari. Sulla via della seta hanno viaggiato molti influssi artistici, in particolare nella sua sezione dell'Asia Centrale, dove si sono potuti mescolare elementi ellenistici, iraniani, indiani e cinesi. Uno dei più vivaci esempi di questa mescolanza è rappresentata dall'arte del Gandhāra.
Basta il nome per evocare emozioni straordinarie e far viaggiare l’immaginazione su sconfinati scenari naturali. La Via della Seta condensa, in un’unica espressione, secoli di storia e di avvenimenti che hanno segnato il destino di popoli e culture. La Via della Seta è quell’insieme di percorsi carovanieri e rotte commerciali che congiungeva l’Asia Orientale, e in particolare la Cina, al Vicino Oriente e al bacino del Mediterraneo, lungo il quale nei secoli hanno transitato carovane di cammelli carichi di seta, prezioso materiale di cui la Cina ha conservato a lungo il “segreto” della sua lavorazione. Così riusciva a garantirsi il monopolio del tanto ricercato tessuto, che trovava acquirenti fin nell’Impero Romano, a occidente. La Via della Seta fu iniziata nel 114 a.C. nel periodo della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.), e sopravvisse fino almeno al XV secolo, circa 150 dopo Marco Polo, quando si aprirono le vie marittime. Raggiunse un’estensione di oltre 8000 chilometri, e oltre a essere una via commerciale era un potente mezzo di scambi di informazioni, persone, idee. Oggi lungo tutto il percorso si possono trovare ancora tracce dei popoli, delle idee e delle merci che l’hanno attraversata e modellata. Sono la testimonianza del fatto che la Via della Seta ha anche rappresentato un dialogo tra le civiltà sedentarie della Cina e dei paesi del Vicino Oriente e Mediterraneo, mediato dalle popolazioni nomadi dell’Asia Centrale.

Ingresso libero.

giovedì 26 novembre 2015

Archeologia. Scoperta l'isola perduta della battaglia navale delle Arginuse tra Atene e Sparta durante la guerra del Peloponneso

Archeologia. Scoperta l'isola perduta della battaglia navale delle Arginuse tra Atene e Sparta durante la guerra del Peloponneso
di Nick Romeo


Un team internazionale composto da archeologi e geofisici ha annunciato di aver scoperto l'isola nell'Egeo orientale su cui un tempo sorgeva l'antica città di Kane.  L'isola, citata dallo storico greco Senofonte, è nota per la prossimità alla celebre battaglia navale delle Arginuse, che nel 406 a.C. vide gli Ateniesi sconfiggere gli Spartani verso la fine della guerra del Peloponneso. Le isole Arginuse, oggi chiamate Garip, si trovano a poche centinaia di metri al largo della costa turca. Le fonti storiche parlano di tre isole, ma per lungo tempo l'esatta posizione della terza isola è rimasta sconosciuta. I sondaggi effettuati dai ricercatori e le evidenze geologiche indicherebbero che l'attuale penisola costituiva un tempo un'isola. Poi, in un momento imprecisato prima della fine del

mercoledì 25 novembre 2015

Archeologia. A Petra, la fragile città dei Nabatei, non temono i terroristi dell'Isis

Archeologia. A Petra, la fragile città dei Nabatei, non temono i terroristi dell'Isis
di Daniela Giammusso


''I terroristi dell'Isis? No, qui a Petra non ci fanno paura''. A parlare, nei giorni finora più duri e pieni di interrogativi dello scontro con lo Stato Islamico, è Emad Hijazeen, Deputy Chief Commissioner del Parco Archeologico della Città rosa del deserto, l'antica capitale del regno dei Nabatei, oggi luogo simbolo della Giordania.
Un gioiello unico e fragilissimo, che da più di duemila anni lotta contro la forza del vento e dell'acqua, sopravvivendo alla corsa delle carovane cariche di merci e saperi, ai Nabatei che ne hanno scolpito la roccia con imponenti edifici funerari, ai Romani che vi innalzavano teatri e colonnati, e che ancora oggi si rivela sempre diversa all'occhio del visitatore per quei colori che cambiano a seconda della posizione del sole. Tenuta nascosta per secoli dai beduini, riscoperta nel

martedì 24 novembre 2015

Archeologia. In Egitto, al Cairo, si lavora per assemblare la barca solare di Cheope

Archeologia. In Egitto, al Cairo, si lavora per assemblare la barca solare di Cheope


Armati di mascherine protettive e avvolti in pesanti tute da lavoro, diversi archeologi egiziani e giapponesi sono scesi fino al fondo della cavità che, per 4.500 anni, ha ospitato una delle due barche solari del faraone Cheope (2579 a.C. – 2556 a.C.), ai piedi della sua piramide nella piana di Giza. Questa è la seconda delle due barche solari scoperte, quella che, a differenza della prima, venne lasciata nella sua fossa originaria e non fu all’epoca ricostruita. Si tratta di un vero e proprio rompicapo composto da 600 listoni di legno, che dopo essere stati estratti e restaurati, saranno di nuovo assemblati ed esposti al pubblico. Secondo quanto previsto dal team di ricerca, le operazioni di restauro e di assemblaggio dureranno circa

lunedì 23 novembre 2015

Archeologia. Pergamo, l'antica città fondata dal figlio di Ercole

Echi di splendori passati, Pergamo, la città fondata dal figlio di Ercole.




















La sua fondazione venne, in epoca antica, attribuita a Telefo, figlio di Eracle. Pergamo, nel tempo, divenne una roccaforte di un piccolo satrapo al servizio del Gran Re (VI-V secolo a.C.) e poi in una città di conquista per i Diadochi, i generali che ereditarono il mondo conquistato da Alessandro Magno.
Uno di questi Diadochi, Filetero (343-263 a.C.), alleato di Seleuco I Nicatore, si era impossessato di un tesoro di 200 tonnellate d'argento che gli servirono per cominciare a costruire le fondamenta del suo principato. Il successore di Filetero fu Eumene I che staccò Pergamo dai Seleucidi e tenne a bada i Galati. Fu con Euemene che Pergamo cominciò a

domenica 22 novembre 2015

Archeologia subacquea. Recuperati i resti della battaglia navale delle Egadi, prima guerra punica

Recuperati i resti della battaglia navale delle Egadi, prima guerra punica
di Caso Guillermo del Cobos
traduzione di Pierluigi Montalbano

















Una spedizione italiana ha recuperato alcuni caschi dei legionari e vari rostri (prue) delle navi romane di guerra. Sono resti della battaglia navale delle isole Egadi , che ha avuto luogo sulla costa di Trapani, nel 241 a.C., nella quale i romani sconfissero i cartaginesi, ponendo fine vittoriosamente alla Prima Guerra Punica.
Nelle ultime settimane, in uno studio coordinato dalla Soprintendenza del Mare della Sicilia, due subacquei, Gian Michele Iaria e Stefano Ruia hanno recuperato i caschi dei legionari romani: "Avevamo distinto due scafi nel fondo, e poi, in un'area di soli 200 metri quadrati, a 75 metri di profondità, abbiamo rinvenuto altri 10 scafi", ha detto Ruia. "Sappiamo che i rostri sono Romani per la caratteristica forma a punta di ananas. Non lontano, aggiunge Ruia, abbiamo trovato una testa di statua romana, probabilmente persa dalla nave sulla quale erano imbarcati i soldati che indossavano caschi. La ricerca subacquea è iniziata nel 2006 con il contributo decisivo della RPM Nautical Foundation, un istituto americano che ha messo a disposizione la nave Ercole, dotata di una moderna strumentazione per la ricerca subacquea. Finora, la ricerca ha portato alla scoperta di sei rostri di navi affondate. Due sono cartaginesi, mentre quattro hanno iscrizioni romane e latine che attestano la loro origine. La battaglia delle Egadi ha segnato una svolta: Roma era cresciuta di importanza, da piccola potenza regionale diventava una potenza mondiale.Questa battaglia navale, la più memorabile della storia per il gran numero di partecipanti, 200.000, si svolse la mattina del 10 marzo dell'anno 241 a.C., e mostrò come Roma potè battere i Cartaginesi sul mare. I Romani furono in grado, in pochi anni, di rivoluzionare il modello classico di navi da guerra, scegliendo la costruzione navale quinqueremi (con 5 file di rematori), molto più veloce di quella dei Cartaginesi, e con l'allestimento di innovativi rostri di perforazione e Corvi " gateway” attraverso i quali eseguivano l’abbordaggio, una tecnica scelta dai soldati romani per la battaglia, poiché erano esperti di guerra a terra e spostarono sul ponte delle navi i duelli corpo a corpo.



"La nostra ricerca nasce diversi anni fa, quando un subacqueo, morto di recente, Vincenzo Paladino, mi disse che aveva scoperto circa 300 reperti in fila lungo la parte inferiore della costa orientale dell'isola di Levanzo", ha detto Tusa. "Abbiamo consultato gli scritti dello storico greco Polibio , il quale, ad una distanza di circa 70 anni di episodi di guerra, aveva ricostruito la battaglia della sua storia: si racconta come i Romani, guidati dal console Gaio Lutazio Catullo attaccò di sorpresa i Cartaginesi. Avevano teso un'imboscata al riparo dietro un promontorio dell'isola di Levanzo e, nella fretta di passare all'attacco, avevano tagliato la parte superiore delle ancore, precisamente quelle che Vincenzo Paladino aveva trovato. "
Le fonti storiche riferiscono che la flotta cartaginese era composta da 700 navi, e operava principalmente per rifornire le truppe di terra di stanza sul monte Erice, in Sicilia, guidate da Amilcare Barca . "La Prima Guerra Punica" continua Tusa, "come la prima guerra mondiale si stava trascinando da anni con gli scontri di terra (di posizione) tra le colline di Trapani e Palermo, distanti solo pochi chilometri. I Cartaginesi poi misero insieme una grande flotta sotto il comando del generale Hannone e altri rinforzi e cercare di porre termine a questo stato di cose " . I romani, tuttavia, dopo la sconfitta della Tunisia, e la perdita di numerose imbarcazioni come lo sfortunato Camarina (255 a.C.), grazie ad una flotta di circa 200 velocissimi quinqueremi, armati grazie ai tributi versati dai cittadini.
Il comandante cartaginese Hannone fece una sosta per qualche giorno a Marettimo (ex Hiera ), nelle isole Egadi. La mattina del 10 marzo 241, vedendo che il vento era favorevole (vento dell'ovest) navigò nei pressi di un preciso punto sotto costa nella Siciliaoccidentale. Ma i romani, ben informati, raggiunsero con 300 navi il porto di Marsala (antica Lilibeo ), Favignana.
I romani si appostarono in agguato dietro la punta di Capogrosso, all'estremità nord dell'isola di Levanzo. I Cartaginesi arrivarono quando la flotta era in inferiorità numerica, ma meglio armata e pronta all’assalto. L'attacco fu micidiale: alcune navi romane ruppero con i loro rostri i lati delle navi cartaginesi provocandone il naufragio. Altre navi avvicinarono le navi nemiche rompendo tutti i remi da un lato e rendendole ingestibili, mentre la fanteria romana prese d'assalto le passerelle. Le catapulte lanciarono urne fiammeggianti, simili a bombe molotov. "Il resto della flotta dei Cartaginesi issò le vele e si ritirò sotto il vento, che, fortunatamente, cambiò improvvisamente al momento del bisogno" , Polibio dice. Più di 2000 anni dopo, i ricercatori hanno trovato 200 anfore sul fondo marino. Sono di fattura greco-italica, ampiamente utilizzate tra i Cartaginesi, che le gettarono dalle barche in fuga per alleggerire il peso. La spedizione cartaginese del comandante Barca fallì e, privo di rifornimenti, fu costretto a cedere ai romani il dominio sulla Sicilia. Il perdente, l’ammiraglio cartaginese Hannon, tornò a Cartagine col capo chino per la sconfitta. Al contrario, il console Gaio Lutazio Catullo tornò a Roma dove ricevette gli onori. In memoria di quel trionfo fu costruito il tempio di Giuturna, i cui resti sono ancora visibili a Roma in Largo Argentina, di fronte al Teatro Valle. (vedi immagine in basso).

sabato 21 novembre 2015

Archeologia. Tanit, la dea dei fenici, raffigurata nel Castello di Gerione, distrutto da Annibale.

Tanit nel Castello di Gerione, distrutto da Annibale.



Il Castello di Gerione, in provincia di Campobasso, è un piccolo insediamento fortificato a 616 metri di altitudine sulla valle del Cigno. La cittadella ha una forma ovoidale e dimensioni modeste. L'attestazione più antica risale al 1172, quando compare in un atto di donazione. Successivamente Gerione è ricordata in alcuni documenti del 1181 e del 1254 e in un importante documento del 1239-1241, di epoca sveva. Un atto del 1450 ricorda Gerione tra i feudi inabitati.
Dal 2003, anno in cui il comune di Casacalenda ha acquisito l'area, si conducono scavi nell'area per individuare le antiche origini dell'insediamento medioevale. I paesi che circondano Gerione riportano, nelle tradizioni, storie di distruzione ad opera di Annibale.



Il nome Gerione richiama quello di Gereonium, un anticoabitato dei Frentani ricordato da Polibio e da Livio in occasione delle drammatiche vicende della guerra annibalica. Annibale, infatti, conquistò Gereonium nel 217 a.C., ne trucidò gli abitanti e lo trasformò in una sorta di magazzino per il rifornimento delle sue truppe.
Gli scavi archeologici hanno evidenziato che in epoca sannitica Gerione era fortificato da una possente cinta muraria, un muro con doppia cortina risalente al IV-III secolo a.C. Oltre alle mura, dagli scavi è emersa una stele di Tanit, Dea Madre di Cartagine, che costituisce l'unico documento punico trovato nell'Italia continentale.
I documenti più sicuri risalgono al periodo dell'alto medioevo, con i Longobardi. Nell'VIII-IX secolo il colle dove sorge Gerione è ancora difeso dalle antiche mura sannitiche, per quanto fossero alquanto diroccate. Il luogo subì un'ulteriore distruzione con l'arrivo dei Normanni, nell'XI secolo. In un anfratto nella roccia, utilizzato all'epoca come discarica, un butto medioevale ha conservato ceneri di focolare, frammenti di ceramica di VI-VIII secolo, ossa di animali, tracce di attività siderurgica vicino alla grotta, come grumi di bronzo fuso, crogioli d'argilla e pezzi di mantice.



Gli archeologi hanno anche ritrovato le tracce di un violento incendio verificatosi tra l'XI e il XIII secolo, che deve aver posto fine alla Gerione longobarda. Si tratta, forse, delle tracce dell'arrivo dei Normanni che, comunque, incoraggiarono la ripresa delle normali attività del borgo, controllato da una torre con casale, un donjon fondato dal signore locale per controllare la sua proprietà. La torre, rettangolare, fu costruita prima dell'XI secolo e constava di tre piani per otto metri di altezza.
Tra l'XI e il XII secolo fu costruito il palazzo baronale normanno, su due piani, preceduto da un'ampia corte e con un grande salone a piano terra lastricato nel settore centrale. Il piano superiore raccoglieva, invece, la parte privata del palazzo che non aveva ingressi a livello del suolo, per motivi di sicurezza.



L'edificio più importante di Gerione, dopo il palazzo baronale, era la chiesa di Santa Maria, riconosciuta in un atto di donazione del 1172. L'edificio sacro, eretto nel XII secolo, si presentava privo di abside. L'ingresso principale era preceduto da un portichetto di legno. Sono state ritrovate tracce dell'altare sotto il quale era il reliquiario e tracce del fonte battesimale. Accanto alla chiesa vi era il cimitero, riutilizzato nel corso dei secoli, con deposizioni disposte su due livelli principali. Le sepolture più superficiali sono pertinenti la grande pestilenza e il terremoto del 1349.
Federico II nominò feudatario di Gerione Tommaso de Stipite. Durante questo periodo sono costruite le mura che cingono il colle e le torri. Verso la fine del XIII secolo il territorio in cui si trovava Gerione passò agli Angioini, di cui rimane testimonianza nei reperti di vasi in ceramica rinvenuti nel castello.
Il terremoto che colpì a morte Gerione il 9 settembre 1349 fu tra i più distruttivi che abbiano colpito l'Italia centromeridionale. Gli scavi ne hanno restituita traccia. Il castello di Gerione subì gravi danni che portarono al suo abbandono: crollò parte del palazzo baronale, molti edifici che si affacciavano sulla corte e i pavimenti. Anche la peste nera lasciò il suo segno a Gerione, soprattutto nelle fosse comuni.
Nel cimitero di Gerione sono state scavate 25 deposizioni del XIV secolo e sono stati studiati 12 scheletriche hanno restituito un quadro drammatico delle condizioni di vita nell'abitato. Gli scheletri esaminati presentano forti stress da lavoro pesante, ernie, schiacciamento delle vertebre, artrite, fratture ossee, sofferenza neurologica alle gambe. Tutti gli scheletri esaminati, inoltre, sono risultati affetti da anemie ereditarie, per difetto di ferro e di vitamine. Tartaro, carie, caduta dei denti ed ascessi caratterizzano i poveri resti, a testimonianza della scarsa igiene oltre che delle carenze alimentari.

Fonte: Le nebbie del tempo

venerdì 20 novembre 2015

Giotto, il pittore che rinnovò l’arte italiana


Giotto, il pittore che rinnovò l’arte italiana
di Pierluigi Montalbano


Come Dante, suo contemporaneo, è ritenuto il padre della lingua italiana, così Giotto influenzò non solo le scuole pittoriche del Trecento, ma anche gli artisti del Rinascimento. La leggenda più nota fiorita intorno a Giotto di Bondone, nato nel Mugello nel 1267, è quella che narra di quando Cimabue vide il giovane pastore Giotto mentre ritraeva su una roccia una pecorella del suo gregge. Lo introdusse nella sua bottega e divenne suo maestro, accompagnandolo a Roma per mostrargli i cicli pittorici antichi e paleocristiani e le opere dei più importanti

giovedì 19 novembre 2015

Il Rinascimento. I grandi maestri della pittura: Raffaello Sanzio

Il Rinascimento. I grandi maestri della pittura: Raffaello Sanzio 
di Pierluigi Montalbano
Nato nel 1483 a Urbino, una delle corti più raffinate dell’Italia rinascimentale, si formò tra Perugia e Firenze, a contatto con Leonardo e Michelangelo. Talento precoce, a venti anni aveva già eseguito alcuni capolavori, e quando morì a 37 era considerato un genio. Capace di conversare alla pari con principi e studiosi, e di usare qualsiasi tecnica con lo stesso successo, creò opere di perfezione assoluta secondo i canoni del tempo, rimasti validi ancora oggi. Suo padre, Giovanni Santi, artista presso la corte di Federico da Montefeltro, morì nel 1494 e Raffaello si spostò a

mercoledì 18 novembre 2015

L'albero, uno degli elementi più presenti nei miti degli antichi.Alle radici dell'albero cosmico: l’albero come asse del mondo nella mitologia europea

Alle radici dell'albero cosmico: l’albero come asse del mondo nella mitologia europea
di Greta Fogliani



Uno degli elementi più presenti nei miti e nel folklore delle popolazioni antiche è l’albero. Questo elemento naturale assume una grande varietà di funzioni, ma una più di tutte le altre rende evidente l’importanza che l’albero ha sempre rivestito nell’antichità: quella di centro e asse dell’universo.
Di per sé, l’albero non è propriamente un motivo cosmologico, perché è innanzi tutto un elemento naturale che, per i suoi attributi, ha assunto una funzione simbolica. L’albero, in quanto tale, si rigenera sempre con il passare delle stagioni: perde le foglie, secca, sembra morire, ma poi ogni volta rinasce e recupera il suo splendore. Per queste sue caratteristiche, esso diventa non solo un elemento sacro, ma addirittura un

martedì 17 novembre 2015

Gli antenati dei Faraoni. La scoperta di una tomba nell'antica Nekhen, che i Greci chiamarono Ieracompoli, getta nuova luce sull'Egitto predinastico

Gli antenati dei Faraoni. La scoperta di una tomba nell'antica Nekhen, che i Greci chiamarono Ieracompoli, getta nuova luce sull'Egitto predinastico
di Andrew Curry

La recente scoperta di una nuova tomba in un importante sito dell'antico Egitto, studiato dagli archeologi fin dal 1979, ha consentito il più cospicuo ritrovamento di manufatti mai avvenuto in un sito funerario locale. Assieme ai manufatti sono state rinvenute le ossa bruciate e sparse di un individuo di sesso maschile. La scoperta getta nuove luce sugli antenati dei faraoni, ossia i regnanti dell'Egitto predinastico.
La tomba, scoperta a Ieracompoli - nome con cui i Graci ribattezzarono Nekhen - conteneva ben 54 oggetti, tra cui pettini, punte di lancia, e una figurina di avorio raffigurante un ippopotamo. La tomba è circondata da decine di altre sepolture, che probabilmente ospitavano sacrifici umani e animali esotici.
"Le sepolture d'alto rango dimostrano l'importanza di questo cimitero", dice l'archeologa Kathryn Bard della Boston University. "Vi sono sepolture secondarie di esseri umani e animali, e strutture di legno che si ritrovano solo a Ieracompoli".
Ieracompoli, situata lungo il Nilo a circa 500 chilometri a sud del Cairo, fu l'insediamento più importante dell'Egitto predinastico, un periodo di cinque secoli che ebbe inizio attorno al 3.500 a.C. e precedette la formazione de''antico stato egizio. I ritrovamenti a Ieracompoli dimostrano anche che le radici dell'antica civiltà egizia affondano nei secoli: vi sono evidenti segni di divisioni sociali, con le tombe delle elite più grandi e più ricche delle altre. "Deve essere esistita un'intera dinastia di sovrani predinastici", dice la responsabile degli scavi Renee Friedman, archeologa del British Museum. Le elite di Ieracompoli costruirono elaborate strutture in legno, che il clima arido ha preservato parzialmente per oltre 6.000 anni. Le loro tombe erano circondate da quelle di servitori e animali, un annuncio della potente civiltà che sarebbe loro seguita.
L'uomo sepolto a Ieracompoli in quella ora nota come Tomba 72 aveva tra i 17 e i 20 anni al momento della morte. Il suo alto rango si desume, oltre che dal ricco corredo funerario (nella foto, una statua lunga 32 centimetri realizzata da un dente di ippopotamo, la terza statua in avorio mai rinvenuta del periodo predinastico), dal fatto che fu sepolto con almeno altre 20 persone attorno. "Con ogni probabilità non morirono di morte naturale", dice Friedman. La maggior parte di loro era molto alta e ben nutrita; due erano nani, una caratteristica che affascinava gli antichi Egizi. Friedman però ha scoperto un atto di profanazione avvenuto nella tomba. Millenni fa, le ossa del defunto vennero sparse, e le strutture di legno mostrano tracce di incendio. Friedman è convinto che la tomba venne violata poco dopo la sepoltura e poi data alle fiamme. Gli oggetti rimasero al loro posto, segno che non si trattò di opera di saccheggiatori, ma di un atto di dispegio verso il defunto.    Secondo gli archeologi, ciò potrebbe essere legato a cambiamenti politici e sociali avvenuti poco dopo la sepoltura. "Non vi sono altre tombe nobiliari, e la classe media sembra diventare più ricca", dice Friedman. "Avviene un cambiamento, forse una rivoluzione". Forse la profanazione della tomba 72 avvenne nel corso di una lotta di classe? Friedman pensa di si, ma altri studiosi sono più cauti.  "Nessuno conosce l'esatto status dell'occupante della tomba, e non vi sono prove che fosse un sovrano contro cui rivoltarsi", mette in guardia Bard. Assieme ai sacrifici umani, gli archeologi hanno trovato una miriade di animali attorno alla tomba: leopardi, struzzi, babbuini, capre, cani al guinzaglio. "Gli animali rappresentano le forze del caos, forze che vanno dominate: ed è questo che fanno i sovrani", spiega Stan Hendrickx, archeologo dell'Università di Hasselt in Belgio.  Poiché i saccheggiatori moderni hanno risparmiato la tomba, gran parte del corredo funerario è ancora intatto. Fra gli oggetti rinvenuti vi era questo pettine decorato con un ippopotamo. L'animale - un simbolo di potere - era stato segnato con un bastoncino bruciato. "Pensiamo fosse un modo per ucciderlo simbolicamente, così che non potesse tornare in vita e gironzolare per la tomba", dice Friedman. Nella foto, gli oggetti rinvenuti nella tomba 72. Anche se lo status delle persone che sono sepolte nel cimitero è oggetto di dibattito, di sicuro erano tenute in gran considerazione dai re egizi che li seguirono. Quattro secoli dopo, spiega Friedman, alcuni dei primi faraoni tornarono a Ieracompoli e restaurarono le tombe danneggiate, come a voler sottolineare il loro legame con il passato.
Nella prossima stagione di scavi Friedman spera di riportare alla luce l'intero complesso funerario. "Vogliamo scoprire esattamente quante persone e animali il defunto portò con se, e magari riuscire a esplorare l'intero cimitero".


Fotografie di Renee Friedman
Fonte: www.nationalgeographic.it

lunedì 16 novembre 2015

Tumuli e Tombe Megalitiche in Gallura, di Angela Antona

Tumuli e Tombe Megalitiche in Gallura
di Angela Antona




















Concludiamo la panoramica sulle sepolture, dopo l'articolo pubblicato ieri, con la zona gallurese.
Nell’articolato panorama dei fenomeni culturali preistorici e protostorici della Gallura si annovera una serie di monumenti funerari, nei quali il tumulo costituisce una componente determinante. Va precisato che la carenza dei dati di scavo non consente di valutare né la qualità, né l’entità del qualificante elemento in alcuni dei monumenti presi in esame. Metodologie proprie del tempo a cui risale lo scavo, infatti, spesso non hanno consentito di tramandare fino a noi situazioni chiare o notizie sufficienti a riconoscere la presenza funzionale o cultuale del tumulo, né le sue caratteristiche. Nel ristretto ambito geografico del quale si parla, il termine »tumulo« va inteso, perciò, nei due significati conferitigli dall’uso: da un lato finalizzato a ragioni di statica delle strutture del sepolcro vero e proprio; dall’altro, come elemento legato a credenze e rituali, dove finalità pratiche e cultuali risultano strettamente connesse.
I circoli funerari
La comparsa del tumulo appartiene, in Gallura, ad una delle più antiche manifestazioni di architettura
funeraria megalitica presenti nell’isola. Si tratta della necropoli neolitica di Li Muri (Arzachena, SS), scavata da Puglisi e Soldati tra il 1939 e il 1940 33. Essa si compone, come è noto, di una

domenica 15 novembre 2015

Necropoli a tumulo: I monumentali sepolcri della Sardegna preistorica e protostorica.

I monumentali sepolcri della Sardegna preistorica e protostorica.
di Fulvia Lo Schiavo, Mauro Perra e Angela Antona



La Sardegna, inserita con la Sicilia nel quadro dell’Italia insulare e dell’Europa continentale, si è avvantaggiata delle animate discussioni seguite alle prime due giornate dei lavori. In premessa va precisato che se la prima definizione, che rispetta la natura di grande isola, si attaglia ad ambedue le realtà perfettamente, molto più di quella amministrativa di »Italia meridionale«, i riferimenti archeologici vanno istituiti con il mondo mediterraneo, più che con quello centreuropeo, con il quale in realtà è difficile trovare, per l’antichità, dei punti di contatto non casuali, soprattutto se dall’ambito centreuropeo si differenzia la penisola iberica, che del mondo mediterraneo costituisce il caposaldo occidentale e che con la Sardegna ha molteplici e consolidati legami.
Collocata come si trova al centro del Mediterraneo centro-occidentale, la Sardegna è ormai stata riconosciuta come una pietra miliare per tutte le rotte dall’E e dall’O, e per una sua compiuta ed approfondita valutazione non è possibile fare a meno dei riscontri in

sabato 14 novembre 2015

Ritrovato su Ötzi il sangue più antico: le nanotecnologie svelano la rapida, e forse indolore, morte dell'Uomo del Similaun

Ritrovato su Ötzi il sangue più antico: le nanotecnologie svelano la rapida, e forse indolore, morte dell'Uomo del Similaun
di James Owen


Fin dal suo ritrovamento, avvenuto nel 1991 in Alto Adige, il corpo mummificato di Otzi è stato sottoposto a numerosi studi scientifici, ma fino ad ora non era ancora stata trovata nessuna traccia di sangue, nonostante fosse morto in seguito a un episodio violento. Diverse ricerche suggeriscono infatti che Ötzi sia morto dopo essere stato colpito da una freccia, come testimoniano le ferite alla schiena e alla mano destra.
“Non erano mai state trovate tracce di sangue, anche quando furono aperte alcune arterie, per cui si era sempre pensato che il sangue non si fosse conservato o che forse Ötzi ne avesse persa una grande quantità dalla ferita provocata dalla freccia”, spiega Albert Zink, direttore dell’Istituto per le mummie e l’Iceman di Bolzano.
I ricercatori hanno analizzato la ferita sulla schiena di Ötzi e la ferita da taglio sulla mano destra con

venerdì 13 novembre 2015

Launeddas, il suono della Sardegna, stasera da Honebu con Dante Olianas

Launeddas, il suono della Sardegna, stasera da Honebu con Dante Olianas

Le launeddas, anima dei sardi, saranno protagoniste oggi, venerdì 13 Novembre, nella sala conferenze dell’associazione culturale Honebu, in Via Fratelli Bandiera 100 a Cagliari/Pirri. Dante Olianas sarà relatore sulla storia di questo arcaico strumento musicale. La sala aprirà alle 18.45 e si inizierà alle ore 19 in punto. Ingresso libero.
Uno dei suoni che rappresentano meglio la Sardegna è quello delle launeddas. Ancora oggi si discute sulla loro data di origine ma è certo che, sia nella musica sacra che in quella profana, è lo strumento che infonde emozioni uniche. Il suono forte e metallico, ricorda le voci dei tenores barbaricini. Sono composte da tre canne legate fra loro con spago cerato. La canna che sta alla sinistra è chiamata Su Tumbu, produce il suono più basso, ha una sola nota e funge da basso continuo dall’inizio al termine del brano. La canna che sta al centro si chiama Sa Mancosa Manna, offre un suono di contralto e infonde una melodia con toni diversi. La canna di destra, la più sottile, è Sa Mancosedda, che produce i toni più acuti. La parte che viene introdotta in bocca e dalla quale si soffia è fornita di ancia, così come alcuni strumenti a fiato quali il clarino e il sax. Lo strumento sardo assomiglia dal punto di vista sonoro alla cornamusa scozzese ma si differenzia per la sua più complicata esecuzione dei brani. Mentre infatti il suonatore di cornamusa sfrutta una sacca d’aria fatta di pelle di animale, che permette allo strumento di continuare a suonare anche mentre il suonatore prende fiato, per suonare le launeddas il musicista deve essere in grado di utilizzare una difficilissima tecnica respiratoria.  Caratteristiche soprattutto nel sud Sardegna, le launeddas hanno in ogni paese il loro suonatore professionale. Considerato un vero e proprio maestro, il suonatore di launeddas si esibisce durante le feste, nelle manifestazioni religiose, durante le funzioni della messa e nelle processioni, riunendo aspetti sacri e profani della cultura sarda.

Launeddas
di Ermenegildo Lallai
Lo scrittore  francese Gaston Vuillier  raccontando nel libro “La Sardaigne par Gaston Vuillier” il viaggio compiuto nell'Isola nel 1890 scrive di aver sentito, durante un trasferimento tra i paesi del Campidano di Cagliari,  “une musique charmante” che “ me fit detourner la tete. Un tableau superbe ètait devant mes yeux”.
La musica che tanto aveva colpito Vuillier proveniva dallo strumento musicale tipico della Sardegna, le launeddas, che da tremila anni è presente nell'Isola ed ha accompagnato col suo suono bello e sofisticato (secondo la traduzione della parola charmante) la storia tribolata e la vita  stessa dei sardi. Al IX a.C. risale il bronzetto nuragico esposto nel Museo Nazionale di Cagliari, meglio conosciuto come “aulete itifallico”, che riproduce, con dovizia di particolari, un uomo che

giovedì 12 novembre 2015

Archeologia. Cartagine: Conquistò la Sardegna o...fu inquilina pagante? Quanto versava nelle casse sarde?

Archeologia. Cartagine: Conquistò la Sardegna o...fu inquilina pagante? Quanto versava nelle casse sarde? 
di Rolando Berretta





Non si capisce il punto di vista di chi ci ha propinato una grande Cartagine, nel VI a.C., fino alla stipula di un trattato con Roma dove si rivendica il possesso cartaginese della Sardegna; una grande Cartagine in piena espansione militare e padrona del Mediterraneo. Basterebbe visionare in quale posto i Focesi fondarono Massalia e alla sua importanza commerciale. E' sufficiente un atlante. Nessuno lo ha impedito; ne gli Etruschi, né i Cartaginesi e nemmeno i Sardi. Per essere sinceri ci provarono i Cartaginesi con questi risultati: Tucidide I 13 6 I Focesi, appena fondata Massalia, vincevano i Cartaginesi. Pausania X 18 6: quelli dei Focesi che occupavano Elatèia (o Elatea,nella Focide; in Grecia) mandarono a Delfi un Leone d’oro in onore di Apollo dopo la battaglia navale contro i Cartaginesi. Giustino XLIII 5 2 I Marsigliesi spesso sbaragliarono gli eserciti dei Cartaginesi poichè era scoppiata la guerra tra loro a causa della cattura di navi da pesca e, dopo averli vinti, concessero loro la pace. Vittorie confermate dalle offerte votive a Delfi (iscrizione SIG 12; questa iscrizione paleografica è databile intorno al 525 . (n.d.a. i Massalioti erano già alleati di Roma) Se ci aggiungiamo la visita di Dorieo, direttamente in Africa, nel 525, possiamo dire che non è stato un secolo di espansione e di successi. I Cartaginesi erano talmente messi male che non potettero soddisfare le richieste di Cambise che se la legò al dito. Il fondo della favola si è toccato quando

mercoledì 11 novembre 2015

Iscrizione latina del nuraghe presso Áidu Entos (Mulargia), di Massimo Pittau

Iscrizione latina del nuraghe presso Áidu Entos (Mulargia)
di Massimo Pittau


Nella più importante delle strade costruite in Sardegna dai Romani, quella che andava da Tibulae (Castelsardo) a Caralis (Cagliari), toccando anche Molara (= Mulargia; “Itinerario di Antonino”, 82.2) e attraversando Áidu Entos «valico dei venti» verso Bortigali, si trova un piccolo nuraghe, sul cui frontone si notano ancora i resti di una iscrizione latina di epoca imperiale. Questa però, a causa dello sbriciolamente della roccia, purtroppo risulta in parte illeggibile, come avevo già indicato io, primo segnalatore della iscrizione (M. Pittau, Ulisse e Nausica in Sardegna, Nùoro 1994, capo XII).
Fino ad ora lo storico Attilio Mastino e l'epigrafista Lidio Gasperini avevano ricostruito l'iscrizione in questo modo:



Essi però non si sono accorti che il gruppo di lettere ILI è strettamente preceduto da alcune lettere purtroppo non chiare. Ed io le ricostruisco e leggo il primo vocabolo come GIDDILI, cioè uguale a «Giddilitani o Gitilitani», abitanti di Gitil. E dopo interpreto e traduco l'intera iscrizione in questo modo:



GIDDILI(TANI) IVR·(IS) D(OMI)N(O)
NURACS·SESSAR
M·         C·

i Giddilitani (dedicano) al Signore del diritto (Giove)
costruttori del nuraghe
 miglia           cento




Tengo molto a precisare che questa mia interpretazione e traduzione in realtà è effetto della mia compartecipazione, scritta e pure orale, col collega ed amico Attilio Mastino: prima e senza i suoi interventi anche io avrei continuato a vagolare intorno a questa che si presentava come una iscrizione grandemente misteriosa.
Prima importante considerazione: in epigrafia, relativamente ad ogni e qualsiasi lingua scritta, vale questa importante norma metodologica: «una iscrizione è “contestuale” al supporto in cui risulta iscritta, salvo prova contraria». Ciò significa ed implica che un epigrafista ha il dovere e pure l’interesse a ritenere che una iscrizione I) appartiene realmente al suo supporto, II) è stata scritta da chi ha costruito od ordinato il supporto. Su un epigrafista che in un caso specifico neghi questa “contestualità”, cade l’obbligo di dimostrare le ragioni della sua scelta contraria.
Ebbene, dato che questa iscrizione latina di Áidu Entos risulta scritta su quell'edificio civico-religioso che era il “nuraghe” e addirittura nel suo punto più importante che è il “frontone”, cioè il suo fastigium, se ne deve trarre una prima e importante conclusione: essa è fornita anche di un “carattere sacrale o religioso”, ossia deve contenere pure un riferimento a qualche divinità ivi adorata. Questa divinità, a mio avviso, è probabilmente indicata con la formula abbreviata IVR· DN, che io svolgo in IVR·(IS) D(OMI)N(O) e traduco «al Signore del diritto (Giove)».
Una tale interpretazione e traduzione è perfettamente congruente col carattere essenziale del nuraghe, nella sua caratteristica di “edificio multifunzionale e cerimoniale, religioso e civico” entro e attorno al quale si svolgevano, in un clima di religiosità, tutte le funzioni sociali della tribù: riti di nascita, pubertà, matrimonio, malattia, morte, pace o guerra, carestia, siccità, pestilenza degli uomini e del bestiame, sogni, in maniera particolare rito della “incubazione” e quello connesso dell’“oracolo”. Invece questo essenziale carattere anche sacrale o religioso del nuraghe è stato trascurato del tutto da A. Mastino, il quale ha finito con l'optare per la tesi che quella in esame fosse un'iscrizione confinaria, la quale avrebbe indicato il confine del territorio degli Ilienses.
Seconda considerazione: Gitil era un antico villaggio, ormai scomparso, della curatoria del Marghine, citato ampiamente nel Condaghe di Trullas (CSNT² 80.1, 80.5, 97, 97.1, 177, 243 e [244]), nel Condaghe di Silki (CSPS passim) e anche nella Carta di donazione di Furatu de Gitil a Montecassino del 1122 circa (CREST XXI 3). Siccome i suoi abitanti, assieme con quelli di Mulargia e di Bortigali, avevano rivendicato, contro il convento di San Nicola di Trullas (Semestene), il possesso del salto di Santu Antipatre (l'odierno Santu Padre di Bortigali), c'è da supporre che il villaggio fosse a Padru Mannu (nella Campeda), dove si trova ancora qualche macina romana e si vedono i resti della strada romana che veniva da nord verso Caralis, toccando Ad Medias (Vias) (Abbasanta), Forum Traiani (Fordongianus), Othoca (Santa Giusta), Aquae Neapolitanae (Santa Maria de is Aquas di Sardara).
Però gli abitanti di Gitil, abitando in un sito molto ventoso e piuttosto freddo in inverno, usavano come zona di svernamento per le loro greggi la vallata del riu Mannu di Cuglieri, come dimostrano due cippi terminali con iscrizioni latine di epoca romana, nei quali si parla dei limiti territoriali dei Giddilitani o Ciddilitani (CIL X 7930, E. E. VIII 732; vedi A. Mastino, in «Archivio Storico Sardo di Sassari», II 187-205; A. Mastino, Storia della Sardegna antica, Nuoro 2005, passim), i quali erano evidentemente gli abitanti di Gitil.
È evidente che l'indicazione delle miglia nella nostra iscrizione fa preciso riferimento alla citata strada romana, che passava per l'appunto anche a Molaria (Mulargia), sfociando nell'Áidu Entos «valico dei venti», verso Bortigali e il meridione. Ed è molto importante precisare che pure l'indicazione delle miglia romane, 100 – come ha interpretato bene Attilio Mastino - è quasi del tutto esatta, dato che il nuraghe di Áidu Entos dista da Tibulae 98 miglia romane. (Si vedano nel citato “Itinerario di Antonino” le distanze in miglia da Tibulae: Gemellas m.p. XXV; Luguidonec m.p. XXV; Hafa m.p. XXIIII; Molaria m.p. XXIIII).
Però Attilio Mastino ha interpretato il gruppo di lettere ILI come abbreviazione di ILIENSES, il noto popolo sardo, perenne ribelle al dominio di Roma. Senonché, da un lato egli non ha notato che il gruppo di lettere in realtà è preceduto da alcune altre lettere ormai non chiare, dall'altro che a questa sua spiegazione si oppone il fatto che tutti gli altri storici, antichi e moderni, hanno mostrato di ritenere che gli Ilienses fossero stanziati e arroccati nelle montagne del centro dell'Isola, mentre è inverosimile ritenere che essi fossero stanziati nella zona del Marghine e della Campeda, la quale era molto trafficata e frequentata dai reparti degli eserciti romani proprio perché attraversata dalla più importante delle strade romane.
D'altra parte l'intero significato della iscrizione mostra abbastanza chiaramente che siamo di fronte a una popolazione ormai pacificamente sottomessa al dominio di Roma e pure alla nuova religione della città dominatrice.
Nel nesso della seconda riga NURACS SESSAR il primo elemento costituisce la più antica documentazione scritta del nome del nostro monumento, mentre il secondo è quasi certamente il plurale di un vocabolo, che probabilmente significava «fondatori, costruttori, possessori», vocabolo anch'esso sardiano o protosardo, che noi conosciamo come toponimo al singolare nei territori di Cuglieri e Fonni Sessa [da confrontare con gli altri toponimi sardiani Sesséi (Gairo), Sesseri (Gesico)], col probabile significato di «fondo, predio, possedimento».

Per finire c'è da segnalare e precisare che l'uso della lingua latina nell'iscrizione del nuraghe di Áidu Entos è una nuova prova - assieme con altre analoghe - che i nuraghi sono stati adoperati nelle loro funzioni civico-religiose fino ad avanzata età imperiale romana. Infatti in tutti i nuraghi fino al presente scavati e studiati dagli archeologi, sono stati trovati numerosi reperti di matrice romana e pure numerose monete perfino del tardo impero. 


martedì 10 novembre 2015

Da Atlantide ai Giganti di Monte Prama: i nodi al pettine nella ricostruzione di un dibattito

Da Atlantide ai Giganti di Monte Prama: i nodi al pettine nella ricostruzione di un dibattito
di Federico Francioni



Ricevo in redazione e pubblico, riservandomi un commento più avanti nel tempo. Mi preme, tuttavia, segnalare che nessuna traccia di tsunami devastanti ha colpito la Sardegna nel periodo in esame, ed è pertanto da rigettare senza indugio questa possibilità. (Nota di Pierluigi Montalbano)

«Per noi è secondario affermare che la Sardegna sia l’isola sacra di Esiodo, la Tartesso della Bibbia o l’Atlantide di Platone. Queste ipotesi sono secondarie rispetto alla grandiosità del lascito che è davanti ai nostri occhi e in gran parte ancora sotto terra o ricoperto dalla macchia mediterranea. L’eccezionalità dell’evidenza non ha necessità di forzare alcun processo di mitopoiesi: le diecimila torri sono comunque una realtà […]» (Anonimo, Un sogno chiamato Nurnet, Condaghes, Cagliari, 2014, p. 10).

Pur concordando con queste affermazioni, appare indispensabile ricostruire alcuni snodi e passaggi di accese polemiche che, evidentemente, non riguardano solo il mondo degli archeologi. Chi scrive (Federico Francioni), privo com’è delle loro specifiche competenze, ritiene però essenziale uno sforzo tendente alla ricostruzione storica di un dibattito che richiederebbe anche conoscenze sul piano massmediologico, indispensabili per analizzare l’impatto di determinate scoperte sulla società, la cultura, le mentalità dominanti. L’esposizione mediatica della Sardegna – dalle roventi polemiche sul libro di Sergio Frau (Le colonne d’Ercole. Un’inchiesta. Nur Neon, Roma, 2002) sino alle più recenti notizie di cronaca sugli scavi archeologici nella penisola del Sinis ed in particolare a Monte Prama – mostrano sempre più che temi e problemi di carattere storico-culturale ed archeologico vanno ben oltre l’area degli addetti ai lavori, dotati di competenze scientifiche da cui, sia ben chiaro, non si può e non si deve

lunedì 9 novembre 2015

Archeologia. Launeddas, uno strumento musicale nuragico che vive in Sardegna da almeno 3000 anni

Archeologia. Launeddas, uno strumento musicale nuragico che vive in Sardegna da almeno 3000 anni


In occasione della serata Honebu sulla storia delle launeddas, organizzata il 13 Novembre 2015, a Cagliari/Pirri, in Via Fratelli Bandiera 100, nella quale sarà relatore Dante Olianas, abbiamo deciso di proporre un articolo su questo strumento musicale millenario.

Le launeddas, rimaste per lo più inalterate nell'aspetto e nelle caratteristiche costruttive, possono essere inscritte nella famiglia di aerofoni policalami, tutt'ora presenti nel Mediterraneo, aventi come antenati comuni i clarinetti bicalami egizi e sumeri. Una delle caratteristiche peculiari delle launeddas è la presenza, oltre alla canna di bordone (la più lunga e priva di fori, denominata "su tumbu"), di due canne melodiche. La canna intermedia, detta "sa mancosa manna", è legata al "tumbu" con uno spago e assieme vengono tenute dalla mano sinistra; quella più piccola, "sa mancosedda", è tenuta con la mano destra. Le due canne melodiche sono provviste di cinque fori quadrangolari: quattro vengono diteggiati con le falangette delle mani, mentre sul quinto, detto "s'arrefinu", viene apposta della cera d'api per perfezionare l'intonazione dello strumento. All'estremità delle tre canne viene infisso un cannellino, "sa cabitzina", dal quale si ricava, per incisione di tre lati, l'ancia. Si tratta di uno strumento musicale di origini molto antiche, ancora oggi usato nella

domenica 8 novembre 2015

Il Malocchio in Sardegna e i rimedi tradizionali per curarlo.

Il Malocchio in Sardegna e i rimedi tradizionali per curarlo.
di Fabrizio e Giovanna



























Questo articolo, scritto dagli amici Fabrizio e Giovanna (redattori del Mulino del Tempo) è il più letto nel blog "Il Mulino del Tempo" e ritengo sia interessante proporlo nel quotidiano on line per richiamare l'attenzione dei lettori sulle pratiche legate a ideologie ancora in uso presso le nostre comunità, e diffuso a carattere internazionale con altre denominazioni.

Il Malocchio è una pratica malefica che affonda le sue radici nel passato più remoto; le modalità di trasmissione, come lascia intendere la parola, passa dallo sguardo, infatti si dice che gli occhi abbiano la capacità di trasmettere all’esterno le forze nascoste nel corpo.
Si parla di Malocchio anche nella mitologia dei popoli antichi, lo sguardo rabbioso delle donne dell'Illiria poteva uccidere, il gigante Balor delle leggende celtiche poteva addirittura trasformare il suo unico occhio in un'arma letale e Medusa aveva la capacità di tramutare in pietra chiunque incontrasse il suo sguardo.
Il potere degli occhi viene attribuito soprattutto agli esseri umani sospettati di stregoneria, in particolar modo alle donne.
Secondo la tradizione alcuni esercitano involontariamente con il semplice atto di posare lo sguardo su un'altra persona. I sintomi del malocchio sono, a livello fisico, mal di testa frequenti senza averne mai sofferto prima e senza una causa patologica, cattivo umore e sindrome depressiva; possono accadere degli eventi negativi spesso all'interno della

sabato 7 novembre 2015

Una miniera di relitti nel mar Egeo: Al largo delle isole Fourni gli archeologi hanno scoperto i resti di 22 navi antiche

Una miniera di relitti nel mar Egeo: Al largo delle isole Fourni gli archeologi hanno scoperto i resti di 22 navi antiche
di Nick Romeo - fotografie di V. Mentogianis



Ben 22 relitti individuati in un'area di meno di 50 chilometri quadrati sul fondo dell'Egeo, intorno al piccolo arcipelago di Fourni, in sole due settimane: la sensazionale scoperta compiuta nel settembre scorso di recente da un team di archeologi greci e americani sta fornendo nuovi e interessanti dettagli sulle rotte commerciali e sulle tecniche di costruzione navale nell’antico Mediterraneo. A guidare gli studiosi sono state le indicazioni di pescatori e subacquei locali. I relitti coprono un arco di tempo vastissimo: il più antico risale al periodo arcaico (700 - 480 a.C.), mentre il più recente è del Cinquecento. Sono state individuate anche alcune navi del periodo classico ed ellenistico, tuttavia la maggior parte delle imbarcazioni - 12 su 22 - appartengono al periodo tardo antico romano (IV - VII secolo d.C.).  “Ci troviamo in un’area archeologica incredibilmente ricca”, dice George Koutsouflakis, direttore degli scavi e archeologo del Dipartimento greco per l’archeologia subacquea. Una scoperta di questo tipo è un evento eccezionale ed estremamente raro, ma i ricercatori sono comunque certi che troveranno altri